Bambini e cibo. Un approccio psicologico per apportare un cambiamento al nostro modo di affrontare il problema



Lavoro da molti anni con persone che chiedono aiuto per varie situazioni tra cui l’ansia, la depressione, le dipendenze, problemi coniugali, disturbi alimentari (DCA) come l’anoressia, il binge eating o la bulimia. Ci dimentichiamo però che la psicologia può occuparsi anche di prevenzione e anche di ciò che non rappresenta una psicopatologia…insomma può mettersi al servizio di persone che necessitano di capire qualcosa in più su un problema che stanno vivendo. Quando sono diventata mamma mi sono resa conto di quanto questo discorso fosse importantissimo ossia mettere la psicologia al servizio di persone che vivono qualche difficoltà e che non vivono situazioni patologiche. Sono una psicoterapeuta quindi sostengo le persone che decidono di fare un percorso di psicoterapia, ma a volte ci si attiva a patologia conclamata. L’obiettivo di questo percorso è ritrovare la centralità della genitorialità in quanto la relazione genitore-figli è qualcosa di prezioso che nessuna stanza di terapia, quando non c’è nessuna psicopatologia, può colmare. Infatti il mio intento è attivarmi in ottica di prevenzione).

Uno degli argomenti che come mamma psicoterapeuta vorrei divulgare è in riferimento all’alimentazione dei bambini. Alcuni comportamenti legati al cibo seppure non psicopatologici apportano malessere. Viviamo in una società di persone ben informate sul cibo; infatti ci propinano per esempio ogni anno a scuola, cominciando già dalla scuola dell’infanzia, la solita informazione nutrizionale e in televisione non si fa altro che parlare di cibo con vari esperti del settore. Possiamo dire che c’è un eccesso di attenzione al cibo con un aumento di consapevolezza sugli alimenti sani che apportano benefici alla salute, ma adesso vi porgo qualche domanda:

  1. Le informazioni nutrizionali insegnate a scuola hanno portato dei cambiamenti nei vostri figli?
  2. Il fatto di sapere che alcuni cibi fanno male e altri invece sono indispensabili per la nostra salute vi ha messi nella condizione di mangiarli e soprattutto di farli mangiare regolarmente (tutti i giorni) ai vostri figli?

Io come mamma vi dico già che la maggior parte delle persone risponderanno con un NO a queste mie domande e questo per semplice motivo:

  • si continua a considerare il cibo solo dal punto di vista biologico e ci si dimentica che il comportamento alimentare è frutto di influenze sociali, condizionamenti ambientali, processi di apprendimento e abitudini automatiche. A scuola succede proprio questo: ci sono una miriade di progetti, ma tutti disancorati da una visione più ampia della questione … i progetti sono spesso trattati solo dal punto di vista biologico e nutrizionale e mai si associa anche l’aspetto psicologico…
  • Non voglio entrare nel vivo di aspetti più psicologici per non entrare poi nei meccanismi psicopatologici, ma è importante dire che la nostra specie ha trasformato il bisogno primario di nutrirsi anche in un’occasione di scambio e di relazione. Attraverso il cibo superiamo l’estraneità e si diventa amici, fidanzati, parte della famiglia, alleati, etc, infatti il rapporto con il cibo è il rapporto con gli altri ed è attraverso il cibo che si struttura il primo rapporto diadico. Attraverso il cibo veicoliamo emozioni positive e/o negative… (e questo lo affronterò quando vi racconterò la fame emotiva…) .

Insomma è abbastanza scontato non essere riduttivi e per fare in modo che tutto possa funzionare al meglio bisognerebbe guardare al cibo da tutti i punti di vista senza escluderne altri e soprattutto di non improvvisarsi psicoterapeuti quando non lo si è e non dare informazioni legate al cibo dal punto di vista biologico se non si hanno degli studi in merito.

L’obiettivo di questo percorso è quello di cercare di dare informazioni dal punto di vista psicologico così da aprire spunti diversi per guardare all’alimentazione… e magari provare a cambiare qualcosa…

Lo psicologo che lavora con le problematiche alimentari interviene nell’ambito dell’educazione alimentare e non nutrizionale, ovvero porta l’attenzione non sul “cosa mangiare” ma sul “come far mangiare” gli alimenti necessari nelle giuste quantità sia nei bambini che negli adulti. L’intervento rivolto ai bambini deve prevedere necessariamente il coinvolgimento della famiglia, in particolare dei genitori: infatti, soprattutto in età evolutiva, il sistema educativo familiare influisce nel rapporto con il cibo attraverso due principali modalità di apprendimento: una è il modeling e l’altra l’associazione tra cibo ed emozioni, ma di questo ne parleremo a breve.

Spesso facciamo delle cose poco sane che pur sapendo ci facciamo male continuiamo a farle, per esempio:

  • Fumiamo, eppure sappiamo quanto sia dannoso;
  • Facciamo poco sport;
  • Mangiamo in modo scorretto;

Vogliamo cambiare e puntualmente dopo un mal di gola o un dolore al petto ci promettiamo di smettere di fumare oppure il giorno stesso di un’abbuffata ci ripromettiamo di metterci a dieta e di far mangiare in modo corretto anche i nostri figli, ma puntualmente il ciclo ricomincia e ci ritroviamo nella nostra stessa morsa. Vorremmo cambiare e sembriamo motivati al cambiamento, ma qualcosa non va e così continuiamo con le nostre cattive abitudini. Nel percorso affronteremo le abitudini alimnetari e non solo e cercheremo di vedere come si attivano e cosa possiamo fare per non esserne più schiavi.

Certo l’idea di andare da uno psicoterapeuta per queste motivazioni non ci balena nella mente e così passano anni e non ci decidiamo a chiedere aiuto… anche perché diciamoci la verità andare dallo psicologo-psicoterapeuta non è semplice…accettare di andarci quando si ha un problema legato al fatto di non riuscire a  seguire una dieta lo è maggiormente quindi decidere di andare da un professionista della mente senza essere afflitti da una psicopatologia è ancora più difficile…ma posso dire che qualcuno invece riesce a far richiesta di aiuto per cercare di migliorare il loro rapporto con il cibo, con il proprio corpo, ma soprattutto incontro genitori preoccupati della salute alimentare dei propri figli e che cercano di capire come fare per intervenire  per aiutarli e non “curare” perché ancora non hanno sviluppato, e forse mai la svilupperanno, una psicopatologia legata al cibo. Incontro genitori istruiti dal punto di vista dell’alimentazione eppure si trovano davanti ad un paradosso: ho molte informazioni legate al cibo eppure mio figlio non mangia in modo corretto. Infatti l’eccesso di informazioni ha causato una maggiore angoscia da parte dei genitori creando di conseguenza maggiori conflitti soprattutto legati al momento del pasto. La loro domanda è “Posso cambiare qualcosa” e soprattutto “come posso cambiare?”.

Con questo percorso cercherò di dare risposte dal punto di vista psicologico e quindi non troverete nessuna informazione di carattere nutrizionale, ma imparerete a rivalutare le vostre aspettative rispetto all’argomento cibo nei riguardi dei vostri figli, imparare ad ascoltare e ad accettare anche le esigenze degli altri e quindi dei nostri figli e soprattutto (anche a fronte di come io stessa come mamma con consapevolezza da psicoterapeuta ho affrontato e risolto il problema con mio figlio) vi aiuterò a descrivere il comportamento problematico (e non patologico), come e quando si è manifestato, a capire i vari punti di vista etc…

Cercherò di rispondere alle vostre maggiori angosce:

  • Quando un bambino mangia poco o mangia solo alcuni alimenti o non mangia frutta e verdura oppure se mangia troppo o mangia spinto dall’emotività. Vi aiuterò a guardare a questi problemi nell’ottica psicologica e a mettervi nella condizione di capire le cause di un comportamento e trovare poi delle soluzioni e soprattutto apportare un cambiamento per buona pace di tutti e soprattutto dei vostri figli. Affronteremo anche la seconda parte del percorso che sarà dedicata alla mindfuleating, un approccio al cibo che deriva dalla mindfulness. Ma di questo vi parlo nel prossimo post!