La Walt Disney ha realizzato due versioni animate del racconto popolare noto come Henny Penny o Chicken Little (o anche Chicken-Licken), noto come uno dei più celebri racconti popolari che fanno luce sulla paranoia e l’isteria di massa.
Le due versioni di Chicken Little di Walt Disney sono rispettivamente: la prima del 1943 e la seconda, più recente e nota a molti, del 2005. Oggi voglio parlarvi della versione del 1943. La versione del 1943 parla delle paure e fobie del periodo storico della Seconda Guerra Mondiale.
“Questione di psicologia” (datato 1943) è il cortometraggio animato realizzato e distribuito da Walt Disney durante la Seconda Guerra Mondiale, su richiesta del governo degli Stati Uniti, allo scopo di screditare il nazismo e diffondere il messaggio che l’allarmismo indebolisce lo sforzo bellico e costa delle vite. Originariamente il film avrebbe dovuto avere più riferimenti diretti alla guerra e al nazismo, ma Walt Disney decise di non inserire richiami espliciti: il libro di psicologia di Foxy Loxy in origine doveva essere il “Mein Kampf” e le tombe dovevano essere a forma di svastiche.
Il cortometraggio è ambientato in un pollaio felice; un vero e proprio “piccolo villaggio” con tanto di sindaco, comari (tra queste la pettegola Henny Penny), saggi studiosi (tra questi il tacchino Turkey Lurkey) e ubriaconi (tra questi Ducky Lucky e Goosey Loosey) e tanto di luoghi di ritrovo, come coiffeur shop, sale da tè, sale da ballo e pub.
La vita serena del pollaio è turbata dalla presenza del predatore Foxy Loxy (in italiano Sbavo Volpo) in agguato al di fuori della staccionata. Questa, per sua sfortuna, è impenetrabile: per di più, gli animali sono guidati dal saggio sindaco Cocky Locky (in italiano GalliGall), che provvede in tutto e per tutto alla loro sicurezza. Foxy non si dà però per vinta: da brava volpe, decide di giocare d’astuzia, e cerca un modo per far uscire gli animali dalla fattoria di loro spontanea volontà. Come spera di riuscirci? Con l’aiuto di un manuale di psicologia (allegoria del “Mein Kampf”).
Il libro consiglia alla volpe di adescare l’individuo meno intelligente per convincere tutti gli altri abitanti della fattoria a uscire. La sua scelta ricade sul pulcino Chicken Little, in italiano Paul Cino, un giovane pollo dall’aria non troppo sveglia che passa il proprio tempo a giocare con uno yo-yo. Foxy, sempre consigliato dal manuale, gli racconta: il cielo sta per cadere! Per convincerlo, la volpe fa un po’ di scena con del fumo e gli tira in testa un pezzo di legno dipinto di azzurro: questo basta per terrorizzare il pulcino, che trascina tutti gli abitanti sul luogo dell’accaduto. Il giovane pollo mostra loro il pezzo di cielo che gli è caduto in testa: Cocky Locky, che per fortuna è più sveglio, riconosce che è solo un pezzo di legno e riporta l’ordine; Chicken Little viene lasciato sul posto, sconsolato e deriso.
La volpe però non si arrende: sempre seguendo il libro, lancia una campagna denigratoria per screditare Cocky Locky agli occhi degli abitanti, e convince Chicken Little di essere un grande leader, facendo leva sulla sua voglia di rivalsa. Infine, da abile manipolatrice, li porta allo scontro in un pubblico dibattito, durante il quale colpisce il vecchio sindaco con un altro pezzo di legno colorato a mo’ di cielo. Cocky Locky, già guardato con diffidenza a causa delle fake news messe in giro dalla volpe, perde ogni credibilità; gli animali si affidano a Chicken Little, che suggerisce (naturalmente su consiglio della scaltra Foxy) di rifugiarsi nella “caverna”, fuori dalla fattoria. La “caverna” in questione non è altro che la tana della volpe: non appena tutti sono entrati, Foxy li chiude dentro per mangiarseli. Il narratore del cartone a questo punto ci rassicura: tranquilli, queste storie vanno sempre a finire bene… La storia va sì a finire bene, ma solo per la volpe: Foxy si mangia tutti gli animali della fattoria. Infatti, la vediamo con la pancia piena divertirsi a disporre in fila tutte le ossa degli (ormai ex) abitanti Al che il predatore, giocherellando con lo yo-yo di Chicken Little e mostrando il libro che l’ha condotta al successo, risponde sarcasticamente: “Ah sì? Non credere a tutto ciò che leggi, amico!”.
Il motivo di tale scelta è che Chicken Little è una denuncia nei confronti dell’isteria collettiva che negli anni precedenti aveva portato al potere pericolosi dittatori, Hitler su tutti. Il cartoon vuole mettere in guardia lo spettatore: queste idee folli e pericolose potrebbero dilagare, attraverso personaggi insignificanti, anche nelle fattorie guidate dai galli più illuminati…In questo noi Italiani abbiamo vari esempi di politici e non solo che fanno ancora una propaganda simile a quella della volpe del nostro cartone della Disney.
Il sindaco Cocky Locky, infatti, è il simbolo della democrazia: soccombe perché non riesce a far valere il dialogo contro le menzogne e gli slogan della volpe. Chicken Little, invece, rappresenta ciò che gli americani devono evitare: se si lasceranno prendere dal panico e dalla paura, finiranno per fare il gioco dei regimi totalitari senza nemmeno rendersene conto. Foxy Loxy, infine, simboleggia la minaccia nazista: bisogna adoperarsi affinché la sua propaganda non distrugga altre “fattorie”, come ha già fatto in Europa.
A conferma che questa sia la corretta interpretazione di Chicken Little c’è poi il curioso manuale di psicologia usato dalla volpe in tutto il cartone. Vediamo più in dettaglio i suoi consigli.
- Per influenzare le masse, iniziate dagli individui meno intelligenti.
- Se raccontate una bugia, non raccontatene una piccola. Raccontatene una grande.
- Minate la fiducia delle masse verso i loro leader.
- Tramite l’adulazione, persone insignificanti possono convincersi di essere dei leader nati.
Queste massime non provengono certo da un testo di psicologia qualunque: si tratta infatti di citazioni, adattate alla vicenda del cartone, tratte dal Mein Kampf, il testo scritto da Hitler negli anni ’20 diventato poi il manifesto del nazismo! Addirittura, il progetto originale prevedeva che sulla copertina del libro ci fosse scritto il titolo della malfamata opera: tuttavia Walt decise di cambiarlo con un più neutro “psychology”, per evitare che il corto risultasse troppo datato una volta finita la guerra. Sempre per questo motivo, le tombe dei trapassati abitanti della fattoria, che avrebbero dovuto essere a forma di svastica, vennero rese più neutre, anche se venne mantenuto l’aspetto di un cimitero di guerra. Oggi gli esempi alla politica sarebbero veramente tantissimi e noi Italiani non possiamo certo credere di non avere nella nostra politica personaggi di questo genere…Ma oltre agli aspetti prettamente politici oggi il mio pensiero legato a questo cortometraggio mi riporta a tutti i negazionisti e complottisti del covid-19. Oggi siamo di fronte ad un trauma collettivo che avrà delle ripercussioni nel tempo. Massimo Recalcati dice “una prima risposta a un trauma collettivo può essere la guerra che paradossalmente sarebbe rassicurante in quanto implicherebbe un nemico identificabile, con un volto con dei confini …invece il problema è che il virus queste caratteristiche non le ha: non è localizzabile, non è confinabile, ma è ovunque…è dappertutto, anzi noi stessi siamo portatori di virus…Simona Argentieri -psicoanalista didatta Associazione Italiana di Psicoanalisi/AIPsi dal Fatto Quotidiano del 8/9/2020 scrive “Ben più serio ed esente da qualunque sfumatura di ingenuità è invece il fenomeno del“negazionismo”, che sembra ispirare le frange più accanite di questi manifestanti. I capostipiti del negazionismo sono coloro che da decenni appunto negano la realtà storica del nazismo e dei suoi misfatti. La funzione del gruppo è evidentemente quella di rinforzare gli adepti nella loro credenza, di sostenerne l’autostima e di eludere ogni senso di responsabilità e di colpa; trasformando in valore ideale la distorsione dell ’evidenza e – come è ben noto – scatenando una carica violenta di aggressività contro chiunque tenti di contraddirli. Il modello di funzionamento psicologico alla base è un meccanismo di difesa ben noto in psicoanalisi fin dal tempo di Freud: il “diniego ”, per cui un paziente si rifiuta di ammettere un contesto di realtà oggettive e percettive che gli è sgradito, fonte di angoscia e paura. È un grave sintomo di area psicotica, delirante, che protegge dalla sofferenza, ma al prezzo di sacrificare una parte della realtà (ad esempio, un vistoso sintomo di malattia). La caratteristica del diniego è che la follia si concentra su un nucleo circoscritto, mentre il resto della persona funziona relativamente bene, in contatto con le leggi del mondo reale circostante. Esistono però anche forme parziali, episodiche di diniego: come chiudere impulsivamente gli occhi per non vedere qualcosa di brutto. Per restare alla pandemia, lo facciamo un po’tutti quando ci diciamo “andrà tutto bene”, “a me non suc-cederà niente”. Sono piccoli espedienti per rassicurarci, momentaneamente utili, innocui se non sfociano nell’incoscienza e –qui sta il punto –se non si trasformano in “movimenti” sistematici e in comportamenti di gruppi. Temo peraltro che a favorire questi ‘capricci cognitivi’ contribuiscano alcuni equivoci culturali dominanti. Per il timore di essere intolleranti, rischiamo di scambiare per ‘libertà’ la scarica incontrollata dell ’impulso. E riteniamo che sia democratico dare pari dignità a qualunque estemporanea opinione messa a confronto con le evidenze scientifiche (sempre sottoposte, per metodo, a ripetute revisioni e verifi-che). Come se si trattasse di cre-dere o non credere nel riscaldamento globale, nel covid, nell ’essere mortali. Non basta a tranquillizzarci che i seguaci siano relativamente pochi, poiché sono diffusi in tutta Europa. Io invece continuo a pensare che dobbiamo rispettare le persone, non le idee. Ripensando alla mia incertezza iniziale, concludo che tutto questo surreale e pittoresco ‘m o v i m e n t o’ non mi fa ridere (non riesco a mandar giù neppure gli oroscopi che infestano la carta stampata). Mi suscita invece un forte sgomento, perché è pericoloso e ci consegna alla superstizione, al pregiudizio, all ’elusione della fatica di pensare”
… Eppure quelle tombe che riportano a immagini di guerra oggi ci fanno riflettere anche su quanto accaduto qualche mese fa e che in qualche modo si sta ripresentando…quelle persone morte tradotte in numeri che riporta all’anonimità e quindi a mettere una distanza tra noi e quelle persone…tutto ciò sta disumanizzato la morte stessa…se malaguratamente ti ammali e devi sottoporti ad un’operazione complessa rischi di varcare la porta dell’ospedale e di non avere più notizie del tuo parente e parliamoci chiaramente è faticoso per i propri cari sentire che sei solo il letto 5 del reparto di terapia intensiva di un qualsiasi reparto adibito o non a covid…Recalcati dice “l’atto fondamentale della cura da parte dei medici e degli infermieri nei confronti di chi ci sta per lasciare è l’evocazione del nome …di non lasciare che quella vita diventi solo un numero…”mi piacerebbe poterlo pensare e magari molti lo fanno, ma la realtà è che non sempre è così… Il discorso sarebbe molto più complesso e articolato, ma credo di essere stata esaustiva rispetto ad un tema che non fa altro che manifestarsi attraverso meccanismi difensivi psicotici… cerchiamo di avere più rispetto per tutte quelle persone morte per covid e proviamo ad “umanizzarle” non parlando più solo di numeri, ma di ridare un nome a tutte vittime…