“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Vorrei partire da questa splendida frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne “il Gattopardo” per riferirmi ai grandi mutamenti storici avvenuti negli ultimi 100 anni e aventi come protagonista la donna. La donna ad oggi ha parità dei diritti di opportunità e di indipendenza economica, ha il diritto di voto, parità professionale etc..
Ma secondo voi le cose stanno veramente cosi?
Per esempio dopo alcuni anni in cui alla donna non è stato consentito l’ingresso in alcune organizzazioni lavorative per via degli stereotipi sessuali che la vedevano come madre, come casalinga e comunque anche se lavoratrice ad occupare ruoli che non mettessero a repentaglio la sua immagine, ecco che arrivano alcune leggi che le consentono l’ascesa verso determinate professioni. Quindi tutto ciò avviene perché ci sono delle leggi e quindi un adempimento e non perché c’è stato un cambiamento della cultura del contesto.
La divisione tra maschile e femminile secondo la professoressa Francescato (1988) è un’invenzione culturale che ha retto il mondo e le regole sociali per secoli tanto da far apparire naturale e voluta da Dio.
Questa divisione tra femminile e maschile ha legittimato il potere di quest’ultimo relegando alla donna un ruolo subalterno. Questo potere ha assegnato nel corso dei secoli un dislivello che ha posto in “alto” l’uomo e in “basso” la donna.
“Alto” e “basso” secondo Carli (2002) indicano il potere dell’uno sull’altro, un potere senza comunicazione interattiva, senza confronto e senza competenza. “si tratta di un potere senza competenza, quindi fissato definitivamente, segnato dalla nascita, dal censo, dall’importanza sociale, dalle convenzioni, dalla cultura”.
Il potere dell’uomo sulla donna segnato dalla cultura che ha fatto sembrare naturale questa divisione in base al sesso è un potere non fondato sulla competenza, è il potere di differenziare tra individui (lo ritroviamo anche nel razzismo). Questa differenza di genere ha attribuito dei ruoli specifici ai differenti sessi dando potere all’uomo e costringendo la donna alla sottomissione. Ciò ha portato alla pretesa di poter ottenere dipendenza dalla donna. È sempre il potere senza competenza, il potere dell’uno sull’altro che porta al possesso…
Sembra che questa violenza, anche rispetto a ciò che ho esposto finora sia quasi legittima…
Ecco perché le leggi, assolutamente fondamentali non sono però sufficienti a risolvere un problema che è culturale e allo stesso tempo nasce dal rapporto diadico quindi materno…
Da un punto di vista psicoanalitico le radici di questa violenza si ricercano “nella vendetta per la dipendenza infantile dalla madre”, “nell’ esclusione edipica” e nelle “ferite narcisistiche”.
Quando si sopprime moglie o fidanzata il soggetto vive ancora una dimensione fusionale e per questo motivo non tollera l’eventuale interruzione (reale o presunta) perché ciò lo metterebbe di fronte alla cruda realtà di non essere onnipotente. Questa fusione garantiva una stabilità narcisistica di non separazione dal rapporto duale e in questa maniera l’oggetto rimaneva idealizzato e rimaneva quindi la dipendenza infantile.
Quando la moglie o la fidanzata interrompe questa fusione si attiva questa forte violenza , anche eccessiva che serve a rassicurarlo circa la sua superiorità nei confronti di moglie o fidanzata. Superiorità fittizia perché in realtà il soggetto è fortemente dipendente dalla vittima.
Da un punto di vista della teoria dell’attaccamento di Bowlby è stato evidenziato anche il ruolo della vittima nella perpetuazione della violenza. La vittima infatti ha difficoltà ad abbandonare la relazione abusante; sembrerebbe che la vittima reagiscono alla separazione con ansia e dipendenza e questo rende difficile uscire da situazioni di questo genere.
È importante che una mamma aiuti il figlio nel processo di separazione-individuazione perché se ciò non avviene avremo dei futuri figli problematici (non solo problemi legati a violenza sulle donne, ma anche tossicodipendenza, gioco d’azzardo patologico, perversioni, problemi legati a disturbi alimentari etc).
Ovviamente il discorso è molto più ampio, infatti avrei voluto parlare e scrivere oltre che di violenza fisica anche di violenza psicologica, sessuale ed economica e di stalking! Prossimamente avrò modo di condividere quest’argomento con voi.
Considerazioni psicologiche sulla menopausa
Oggi, rispetto a ieri, il matrimonio e la maternità non sono più connesse ad un destino biologico che coincide con la prima mestruazione, ma rappresentano scelte consapevoli in donne che hanno una storia, una professione, degli obiettivi, delle passioni etc e che non si esauriscono, come avveniva in passato a svolgere gli unici ruoli di madre e moglie. In questo contesto, così come il matrimonio e la maternità non sono più legate ad alcun destino biologico che coincide con la prima mestruazione, anche la menopausa non può più essere considerata la fine della sessualità.
Anche se la menopausa è una fase biologicamente determinata quando arriva diventa una fase permeata da forti angosce.
Sembra che la donna debba fare un ulteriore processo di elaborazione di lutto per ridefinire la propria identità e in questa accezione il vissuto frequente è appunto quello depressivo che si accompagna alla sensazione di non sentirsi più “donna”.
Molte donne vivono la menopausa come la morte di un loro aspetto importante dell’ identità femminile e purtroppo culturalmente e soprattutto per molti uomini significa far entrare ufficialmente la donna nella temuta vecchiaia.
Per affrontare la menopausa nel modo più giusto bisognerebbe far risaltare gli aspetti di cambiamento e quindi di nuove opportunità e non solo quelli associati alla perdita.
Lacan dice che la donna è vera quando non si confonde con la madre (intendendo per madre non solo la madre di origine, ma anche il suo essere madre). Se la donna fa del suo essere madre e moglie le uniche e sole ragioni di vita “avremo donne votate ad una maternità totalizzante che paralizza gli stessi figli in rapporti dipendenti con conseguenze estreme dal punto di vista psicopatologico”. Purtroppo in questa accezione la donna non riuscirà a trovare altre possibili assunzioni della sua posizione femminile e conseguentemente la menopausa (e non solo) verranno vissute come la fine di qualcosa e non come inizio di qualcos’altro e come una nuova opportunità. È proprio in quanto appena esposto che ritroviamo anche il meccanismo difensivo della negazione della vecchiaia e della giovinezza a tutti i costi tramite la chirurgia estetica.
Credo sia fondamentale dire che per poter vivere serenamente la menopausa bisognerebbe rendere le proprie figlie “libere” dagli incastri culturali che rendono la donna schiava di stereotipi e quindi di pregiudizi.
Mamme, insegnate alle vostre figlie la libertà dai vari clichè che le incastrano nei solo ruoli di mamme e mogli soprattutto in giovane età… Se vogliamo vivere la menopausa anche in modo più sano e non vederlo solo come declino dovremmo credere e perseguire anche altro nella nostra vita e non incastrarci nei solo ruoli o di madre e moglie o solo professionista o altro…